giovedì 6 settembre 2007

Cronache #2. Spazi

Il portone del castello nella notte estiva si apre per accogliere gli spettatori, o forse per intrappolarli…il percorso è definito, per un pubblico spartito in due gruppi, guidato attraverso proiezioni e giochi di luce, ma costantemente in assenza dell’evento. Gli artisti infatti, hanno rotto le righe. E sono fuori dalle mura.
Il perimetro di pietra si frastaglia, si deforma sotto la pressione dei performer chiamati a interpretare la dimensione dello spazio articolando in collettivo la propria ricerca artistica individuale. Il compromesso, la riflessione intersecata di diverse prospettive sul fare artistico, spostano il disegno oltre il confine del foglio.
Lo spettatore intrappolato in un castello da luna park, spia lo spettacolo da distanze mobili, da altezze vertiginose, da fessure nella pietra.
La chiave della serata è un codice condiviso, una trama di ammiccamenti cinematografici in cui non manca un pizzico di mistero a solleticare un piacevole disorientamento nell’occhio di chi guarda, già invitato a non appoggiarsi alle placide sponde di un palcoscenico, ma a scrutare addirittura l’orizzonte nel buio. Noir, appunto. O meglio, a tratti, un thriller, truce omicidio compreso. Procedendo con ordine, si può quasi intravedere la bozza di una sceneggiatura. Il Castellano in primo piano nello schermo incastonato nella torre invita a non temere, nella sua dimora virata in blu notte, mentre angoli cupi si accendono di lampi verde maligno. Intanto, gettando lo sguardo oltre la terrazza, a picco sul cortile interno, in un enorme primo piano bidimensionale una donna affoga. Il volto di Paola Lattanzi emerge dall’acqua tersa di una vasca da bagno, per poi ricadere all’indietro, in una spasmodica ricerca di ossigeno che sembra essere più vitale sott’acqua, che nel bacio dell’amante omicida. Un istante dopo i fari di un’auto scendono veloci dalla collina, e ai piedi del castello una donna è spinta fuori dall’abitacolo. Una figura nascosta in un impermeabile arancione versa da una tanica un liquido chiaro sul corpo inerme. Poco dopo l’assassino incappucciato si moltiplicherà in tre anonimi officianti di una macabra danza, avvicinandosi all’arco d’accesso al borgo. Nella piazza del castello, l’auto in manovra ingaggerà una schermaglia danzata con Aline Nari. Una donna a lutto trascina la lunga coda nera dell’abito ai piedi della fontana, come fosse una lapide che stilla veleno. Alla fine, ci spara. Ma le merlature del castello deviano le pallottole d’acqua. E siamo salvi. E testimoni. Per fortuna in tutto questo la polizia ha sempre tenuto d’occhio l’auto, possiamo assistere anche all’inseguimento: in un buco nelle mura due automobiline in plastilina immobili nella luce rossa di una notte metropolitana, si inseguono a sirene spiegate. Basta indossare le cuffie per sentirle. L’happy end è forse nella sezione video, una parentesi in una sala separata, che fa a meno del plot: spicca il corto di Anna Rispoli firmato ZimmerFrei, un road movie al confine fra l’infanzia e l’adolescenza, muto e limpido più dell’acqua, spezzato dall’autoradio e da continui abbandoni, tre ragazzi lasciati uno a uno sul ciglio della strada, senza sgomento né spiegazioni. Sola, per l’ultimo tratto guida una ragazzina dallo sguardo azzurro cielo. E nei finestrini il panorama cambia. Un volo aereo, distese di foreste e acque. E lo spazio si deforma e irradia, mentre il tempo è sospeso nel vuoto. Per sempre.

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