giovedì 6 settembre 2007

Cronache #1. Forme

Uno dei tratti caratteristici delle serate di Rizoma sta già incluso in questa piccola parola, la prima, suo malgrado costretta a evocare un qualche contenuto al quale contrapporsi, volente o no indotta a riflettere sul senso delle arti performative odierne. Giacchè questa, al di là degli esiti, è sembrata la cifra di intenti di chi ha immaginato le giornate a Malgrate: un piccolo catalogo di principi, di nozioni fondanti, in grado di aprirsi su un fare condiviso e troppo poco messo in comune da molti artisti contemporanei, e in grado di stimolare quattro giornate di incontro con il pubblico.
Dunque la prima forma della serata Forme si apre con una presentatrice con voce suadente (Ambra Senatore), ironica hostess che fornisce coordinate allo spettatore ostentando un gonfio seno che verrà prontamente bucato tramite spilli.
Al suo fianco, un altro palloncino è pronto a cristallizzarsi in forma, immortalando l'atto che lo farà esplodere: una camera digitale cattura qualche divertito spettatore che si presta al gioco volontario di gonfiamento e scoppio improvviso, e la forma svanita è immediatamente consultabile su pc.
Seguendo le scale e le volte del castello, entrando all'interno di stanze o osservando il cortile interno da una balaustra, si creano altre forme. Intorno a un pozzo, una danza melliflua rimarcata da un solo chitarra e voce (Patrizia Lo Sciuto e Stefano Giannotti) si tende verso toni intimistici, in attesa di entrare nell'Acquario : quattro sedie suddividono una stanza in due spazi performativi adiacenti, dove due soli speculari e diversi, (Paola Lattanzi e Patrizia Lo Sciuto) per lo più verticali o minimi spostamenti sul posto circoscritti da luci ovali, ripercorrerono le atmosfere di quella che appare come una odierna cattività delle esistenze. Lo spettatore può osservare da fuori, spiando da ampie vetrate, oppure assidersi nello spazio, divenendo al contempo osservatore e osservato.
Passando dentro a un bagno, che rimanda in audio una trattatistica di corretto movimento per giovani fanciulle, viene da chiedersi quale sia, e se ci sia, una forma madre, un corpo in grado di formare tutta la materia vista al castello. La risposta giunge sul finale, nell'ultima sequenza proposta: alcune danzatrici si offrono come materiale umano da modellare, chiunque può avvicinarsi a loro e “spostarle” e contorcerle come meglio crede, in attesa che l'intervento di altri muti il disegno. Si creano conformazioni bizzarre, in questo nemmeno tanto concettuale esercizio sull'arte delle coreografia: tanto che anche Roberto Castello, sinora silente osservatore di materiali altrui, interviene per creare la sua fugace visione.
Comprendiamo allora che tutto quanto visto poteva forse essere un omaggio alla danza e alla creazione di figure in movimento (forme), e proprio per questo, data la scelta di una serata così marcatamente spettacolare, così offerta in tanti piccoli episodi ognuno reclamante la propria completezza e autoreferenzalità, era forse lecito aspettarsi un registro di aleatorietà meno marcato, mettendo maggiormente a fuoco una Forma in grado di persistere alle singole forme.

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